Diffidenza 2.0: i timori dei consumatori nei confronti di tecnologie eccessivamente umanizzate
Gli oggetti connessi, che sono diventati i nostri compagni quotidiani, sono in realtà eccessivamente “umani” per i consumatori? Un recente studio condotto dai ricercatori Ilaria Querci (NEOMA Business School), Luigi Monsurrò (UNIMORE) e Paolo Peverini (LUISS) rivela aspetti inediti della resistenza dei consumatori verso queste tecnologie umanizzate. I risultati mostrano che gli utenti reticenti percepiscono questi oggetti come pericolosi, associandoli a ruoli sociali poco lusinghieri.
Oggetti connessi troppo “umani”?
Immaginate un mondo in cui il vostro smartwatch non solo vi dice l’ora, ma parla con voi, vi ricorda gli appuntamenti e sa persino quando siete stressati. Questo mondo è già nostro, ma l’umanizzazione degli oggetti connessi potrebbe essere un’arma a doppio taglio. “Alcuni consumatori ritengono che questi oggetti siano un’invasione della loro privacy”, spiega Ilaria Querci. Dando a queste tecnologie una voce, un nome o una personalità, si potrebbe pensare che ciò le renda più accettabili. Tuttavia, lo studio dimostra che questo può in realtà aumentare la resistenza.
Perché è così difficile adottarle?
Un decennio fa si prevedeva che entro il 2020 il mondo sarebbe stato popolato da 50 miliardi di oggetti connessi. Ma nel 2022 se ne contavano 14 miliardi. Perché questa lentezza: “I consumatori possono essere molto resistenti a queste tecnologie”, spiega Luigi Monsurrò. Lo studio individua tre tipi di barriere all’adozione degli oggetti connessi:
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Barriere funzionali: gli utenti spesso trovano questi oggetti complicati da usare, costosi da mantenere e potenzialmente pericolosi per la loro salute.
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Barriere psicologiche: i consumatori dubitano della necessità di essere aiutati da un oggetto piuttosto che da un essere umano e mettono in discussione i reali miglioramenti apportati alla loro vita quotidiana. “I consumatori sono riluttanti ad adottare oggetti connessi per paura di perdere il controllo della propria vita quotidiana”, afferma Paolo Peverini.
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Barriere individuali: alcune persone preferiscono la continuità al cambiamento e sono quindi poco propense ad abbracciare le nuove tecnologie.
I quattro ruoli sociali negativi
I ricercatori hanno condotto interviste qualitative con 33 adulti, rivelando quattro ruoli sociali negativi attribuiti agli oggetti connessi: il devastatore, il dominatore, lo stalker e il seduttore.
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Il Devastatore: gli oggetti connessi sono percepiti come entità che controllano e sfruttano gli utenti, riducendo la loro libertà e isolandoli. I partecipanti hanno notato che questi oggetti rappresentano una minaccia che riduce la loro autonomia.
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Il Dominatore: la paura che le macchine sostituiscano gli esseri umani, invadano il loro spazio personale e controllino la loro vita quotidiana è onnipresente. Alcuni trovano opprimente la mancanza di confini tra l’oggetto e l’individuo.
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Lo Stalker: gli oggetti sono visti come spie onnipresenti, che raccolgono dati e monitorano gli utenti, generando sfiducia nel sistema che sta dietro a queste tecnologie. Alcuni intervistati affermano che questa tecnologia espone le persone a una maggiore sorveglianza piuttosto che fornire una maggiore sicurezza.
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Il Seduttore: sebbene siano pratici e attraenti, gli oggetti connessi possono portare alla dipendenza, alla perdita di competenze e all’impoverimento della vita sociale. I partecipanti hanno avvertito che un uso eccessivo della tecnologia potrebbe portare alla perdita di alcune facoltà essenziali.
Questi ruoli riflettono una diffusa sfiducia nei confronti degli oggetti connessi, che vengono percepiti come invasivi e intrusivi. I ricercatori raccomandano alle aziende di ridurre l’eccessiva umanizzazione delle funzioni degli apparecchi e di concentrarsi invece sul controllo da parte dell’utente e sulla trasparenza dei dati. “È essenziale creare prodotti che ispirino fiducia e sicurezza”, consiglia Paolo Peverini. “I consumatori devono sentire di avere il controllo della tecnologia“, conclude Ilaria Querci.