Mario Hubler introduce il libro di Alfredo D’Attorre. Intervengono anche Massimo D’Alema e David Sassoli
Mario Hübler, segretario generale della Fondazione Italianieuropei, introducendo in streaming la presentazione del libro di Alfredo D’Attorre, “L’Europa e il ritorno del «politico». Diritto e sovranità nel processo di integrazione”, ha tracciato, traendo spunto dal libro, due binari su cui si sono mossi gli interventi degli ospiti: il presidente Massimo D’Alema, il presidente del Parlamento europeo David Sassoli, il professore Carlo Galli e la professoressa Nadia Urbinati.
Una riflessione attenta e puntuale sul percorso che ha portato al fallimento del progetto “Europa” e sull’eventuale possibilità di trasformare il tempo che stiamo vivendo, in cui il mondo è stato travolto da una pandemia catastrofica, nell’occasione di provare a riprendere il concetto originario di nuovo europeismo.
Hübler, ha aperto la presentazione offrendo una sua disamina del libro di D’Attorre, diventata bussola per gli interventi successivi.
Il libro è un riuscito susseguirsi, da una parte, di ragionamenti propri dello studioso di filosofia del diritto; dall’altra, c’è una serie di valutazioni più prettamente politiche.
Ho trovato questa una cosa significativa, perché Alfredo riesce a combinare le sue due forti passioni e emerge il profondo tratto politico che pervade pienamente il suo animo.
Nel libro, Alfredo parte dall’analisi dei processi che hanno determinato una metamorfosi del progetto europeo originario.
L’Europa, che nasce un po’ come disegno, come utopia spinelliana, di integrazione dei popoli e delle nazioni, ha perso, nel corso degli anni, questa strada, cedendo il passo, invece, al principato dell’economia e del mercato.
Però l’economia in Europa, ma in tutto il mondo, non guidata da un’impostazione politico-sovrana, ha generato, per dirla alla Foucault, uno Stato sotto sorveglianza del mercato e non più un mercato sotto sorveglianza dello Stato e si è andato, via via, sempre più affermando un liberismo incontrollato che, lungi dall’essere il liberalismo di matrice crociana, si è imposto come possibile soluzione del conflitto tra politica e mercato, ma si è rivelata una soluzione fallace, perché, nei fatti, è andata a minare quel modello sociale, lo stato sociale di benessere e sicurezza, che era proprio, benché con sfaccettature diverse, il tratto comune di quasi tutte le democrazie continentali.
E, quindi, ha determinato una crescita di povertà e disuguaglianze che non è stato più possibile controllare.
In questo c’è un’indubbia responsabilità della politica, o del politico alla Smith, che compare nel sottotitolo del libro.
Innanzitutto quella di aver consentito un processo di deresponsabilizzazione della politica stessa; un processo che ha determinato la nascita di un sentimento anti politico (la politica percepita quasi come inutile) e quindi anche l’affermazione dei populismi e un indebolimento e ridimensionamento delle assemblee partecipative.
L’Europa era un bene indiscutibile.
La politica ha accettato che non potesse avere nemmeno uno spirito critico costruttivo e, in questo, ha consentito che la politica diventasse anche in questo caso una cosa inutile, per cui le tecnocrazie potevano fare molto meglio prive della politica o subordinando la politica.
Infine, la crescente limitazione della sovranità dei singoli stati non è stata accompagnata dalla crescita della sovranità continentale.